Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

La successione apostolica nella Chiesa Anglicana



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Sebbene la Chiesa anglicana abbia sempre mantenuto una forma di governo di tipo espiscopale, le opere e la corrispondenza dei primi riformatori anglicani dimostrano che essi riconoscevano le chiese riformate del Continente europeo, con una organizzazione presbiteriale, come vere chiese. Erano infatti riconosciuti validi il loro battesimo e la loro eucaristia. Pur considerando la forma di governo ecclesiastico fondata sul vescovo come risalente ai primi secoli cristiani, non la ritenevano il fondamento necessario di una vera chiesa. I primi riformatori anglicani insistono più sulla trasmissione dell'insegnamento apostolico che sulla mera successione delle sedi episcopali attraverso una trasmissione ininterrotta da fare risalire fino agli apostoli. Si mostrano inoltre perfettamente consapevoli della mancaza di prove evidenti sulle forme di governo presenti nella chiesa del primo secolo.


Non troviamo praticamente scritti anglicani del sedicesimo secolo in cui venga affermata la necessità di una successione apostolica "fisica" come fondamento necessario di una vera chiesa. E men che meno troviamo affermazioni del genere nei 39 articoli di religione.
Richard Hooker, uno dei più influenti teologi anglicani del sedicesimo secolo, ha dedicato al tema del ministero episcopale il settimo libro della sua opera The Ecclesiastical Polity. Pur difendendo la struttura ecclesiastica basata su un ministero ordinato tripartito e suddiviso in diaconi, presbiteri e vescovi, e pur difendendo la legittimità e antichità della forma di governo incentrata sul vescovo, Hooker la considera una istituzione apostolica, ma pur sempre umana, legittimata da Dio, ma non di diritto divino. In ogni caso, non l'unica possibile. Riconoscendo la necessità del ministero ordinato per la prosperità della religione, Hooker asserisce che la corretta forma di governo ecclesiastico non è indicata dalle Scritture e che alcune cose contenute in esse possono essere considerate requisiti secondari di una chiesa, poiché a volte non è necessario oppure non è possibile mantenerle. Il riferimento è soprattutto alle chiese continentali che avevano applicato una forma di governo presbiteriana. Commentando l'ordinazione di Teodoro di Beza fatta da Calvino, Hooker afferma che in alcuni casi ci sono sufficienti ragioni per consentire l'ordinazione senza un vescovo.

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Richard Hooker (1544-1600)

Sarà soltanto con il Movimento di Oxford, movimento riformistico nato all'interno della Chiesa Anglicana nel diciannovesimo secolo, che verrà perseguito un riavvicinamento con la tradizione Cattolico Romana (portando anche a casi di vera e propria conversione, come quello di Henry Newman) e che ci si avvicinerà al modo proprio di quest'ultima di intendere la successione apostolica, come passaggio ininterrotto del "potere episcopale" da un vescovo all'altro, dall'era apostolica al tempo presente, e fondando questo (presunto, ndr) dato il fondamento della validità dell'Ordine.
In realtà già San Girolamo affermava nella sua lettera 146 che un presbitero può essere chiamato a presiedere sugli altri. E' noto, inoltre che nella chiesa di Alessandria fin dai primi secoli il capo del presbiterio era eletto dal collegio stesso dei presbiteri.
In alcuni casi i vescovi anglicani cercheranno una nuova legittimità del proprio status ricorrendo a vere e proprie "riconsacrazioni" operate da vescovi vetero-cattolici con una linea di successione riconosciuta valida dalla Chiesa di Roma.
Oggi tutto ciò non ha più molto senso per le chiese appartenenti alla Comunione Anglicana, anche solo se consideriamo che dal momento in cui è stato consentito alle donne di accedere all'episcopato, le nuove consacrazioni episcopali operate da consacratori donne non possono essere in alcun modo riconosciute da Roma.
Nel caso delle chiese anglicane del Movimento di Continuazione, o chiese anglicane "tradizionali" (che hanno rifiutato le ordinazioni femminili), la linea di successione apostolica non è sempre facile da ricostruire, a cusa dell'enorme frammentarietà che caratterizza questo ambito ecclesiale. Alcune delle prime consacrazioni possono essere fatte risalire ad Albert Arthur Chambers (1906-1993), vescovo della Chiesa Episcopale degli Stati Uniti d'America, il quale abbandonò l'Anglican Communion nel 1976, avviando il Movimento Anglicano di Continuazione e contribuendo all'installazione di diverse diocesi negli Stati Uniti e in Sud America. Chambers ispirò e supportò anche la nascita di diverse diocesi anglicane di continuazione nell'America Latina.

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Albert Arthur Chambers

Possiamo dunque dire che la forma di governo ecclesiastico incentrata sul vescovo e la struttura tripartita del ministero ordinato (diaconi, presbiteri, vescovi) sono tratti costitutivi dell'Anglicanesimo, il quale ha mantenuto anche un rito e una eucologia per la consacrazione fortemente radicati nella antica tradizione romana. Diversa però è l'interpretazione del ministero ordinato che viene data dalla tradizione teologica anglicana, maggiormente interessataa alla fedele successione del deposito di fede ricevuto dagli apotoli piuttosto che all'individuazione del fondamento dell'Ordine in una linea di successione continua dagli apostoli ai loro successori, a sua volta vincolata alla comunione con la cattedra di Pietro (basata su una interpretazione delle Scritture che viene vista come un "mito di fondazione" proiettato a posteriori).



Vogliamo concludere con alcune parole del teologo Valdese Paolo Ricca:

Qui è chiaro che cosa manca, secondo il Concilio, alle chiese protestanti per essere «chiese in senso proprio», come ha detto più volte l’attuale pontefice: manca «il Sacramento dell’Ordine» (ci ritorneremo tra poco). E siccome manca questo «sacramento», i pastori protestanti di tutte le confessioni e denominazioni (luterana, riformata, battista, metodista, pentecostale, ecc.), come pure i ministri della Comunione anglicana, non sono, secondo il Concilio, veramente «ordinati», cioè dotati dei «poteri sacerdotali», e quindi la Cena del Signore che essi presiedono e celebrano con le loro comunità «non ha conservato la genuina e integra sostanza [la sottolineatura è mia] del Mistero eucaristico».
Il Concilio si affretta a precisare che, malgrado questo deficit, i cristiani evangelici, quando celebrano la Cena del Signore fanno memoria della sua morte e risurrezione, e così «dichiarano apertamente che la vita acquista significato nella comunione di Cristo e aspettano la sua venuta gloriosa». Quindi la S. Cena evangelica non è un semplice pic-nic religioso; no, è un atto di fede in Cristo in attesa della sua venuta. Però a questa celebrazione manca, secondo il Concilio, «la genuina e integra sostanza [la sottolineatura è mia] del mistero eucaristico». Si noti il termine di «sostanza»: non è che alla Cena evangelica manchi qualcosa per essere Cena del Signore; no, le manca la sostanza, cioè la cosa principale, quella che fa sì che la Cena sia effettivamente la Cena del Signore.
In altri termini, secondo il Concilio, la Cena evangelica sostanzialmente non è la Cena del Signore. E perché non lo è? Perché mancano la fede, la speranza, l’amore, la comunione, la fraternità? No, tutte queste cose possono esserci. Perché manca la Parola di Dio? O manca lo Spirito Santo? O mancano il pane o il vino? O mancano la fame e la sete di essere saziati e dissetati dalla grazia di Cristo offerta con il segni del suo corpo e del suo sangue? No, tutte queste cose possono esserci. L’unica cosa che manca è «il sacramento dell’Ordine» e, mancando questo, manca la sostanza del «mistero eucaristico», cioè, nel nostro linguaggio, la sostanza della Cena del Signore. Non essendo, la nostra S. Cena, una vera Cena del Signore, non trasmette la grazia a essa collegata, e il culto nel quale essa si svolge non è il vero culto cristiano e la chiesa che lo celebra non è «chiesa in senso proprio», ma solo «comunità ecclesiale», cioè comunità di cristiani nella quale ci sono elementi o frammenti di chiesa, ma non c’è la chiesa. Non c’è la chiesa perché non c’è – ora è chiaro – «il sacramento dell’Ordine», e non c’è il sacramento dell’Ordine perché non c’è il vescovo che essendo, secondo la concezione cattolica, nella «successione apostolica», è in grado di conferire quel sacramento e, con esso, i poteri sacerdotali necessari per conferire alla celebrazione della Cena la sostanza del mistero eucaristico. Tutto, in questo visione, dipende dal vescovo. Quale vescovo? Quello che, sempre secondo la concezione cattolica, sta nella «successione apostolica», cioè è «successore» degli apostoli. E qual è la successione apostolica? Quella riconosciuta da Roma. I vescovi anglicani, a esempio, stanno nella «successione apostolica», ma non sono riconosciuti da Roma. Perché? Perché non riconoscono il papa. Quindi, in parole povere, noi siamo, secondo Roma, «comunità ecclesiali» e non «chiese» perché i nostri pastori non sono «ordinati» da un vescovo cattolico.
Che dire di tutto ciò ? Diremo che tutto questo discorso ci è estraneo e, pur rispettandolo, non lo condividiamo. Vediamo le cose diversamente. Noi teniamo in alto conto la successione apostolica, anzi il movimento valdese medievale e la Riforma del XVI secolo sono sorti proprio per riportare, in due modi diversi ma complementari, la chiesa del tempo nella successione apostolica che, secondo noi, era stata smarrita. Per noi la successione apostolica consiste sostanzialmente nella fedeltà al messaggio apostolico, così com’è contenuto nel Nuovo Testamento. Per Calvino, a esempio, i pastori sono successori degli apostoli, in quanto svolgono nella comunità locale le stesse mansioni che gli apostoli svolgevano nella chiesa universale (Istituzione cristiana, libro IV, cap. 3°, par. 5 e 6); ma lo sono nella misura in cui il loro ministero e soprattutto la loro predicazione è fedele al messaggio degli apostoli. Noi dunque abbiamo la successione apostolica, ma la intendiamo diversamente dalla Chiesa cattolica: secondo noi non è la successione dei vescovi che la garantisce, bensì la predicazione fedele del messaggio evangelico secondo la Scrittura, di generazione in generazione, grazie all’azione costante dello Spirito Santo, che mantiene la chiesa nella verità. Discorso analogo si deve fare per il «sacramento dell’Ordine» che, secondo il Concilio, da noi mancherebbe. Ora noi teniamo in alto onore la «ordinazione» (preferiamo dire «consacrazione») dei ministri. Per noi non è un sacramento, ma ne ha tutte le caratteristiche: una parola di Gesù di invio in missione dei discepoli e un gesto della chiesa che impone le mani al candidato, invocando lo Spirito su lui e sul suo ministero. Non è dunque vero che da noi «manca il sacramento dell’Ordine» come dice il Concilio; manca il sacramento dell’ordine come lo concepisce la Chiesa cattolica, ma c’è una «consacrazione» al ministero, che ha lo stesso significato e lo stesso valore; non è certo compiuta da un vescovo, ma dall’assemblea sinodale riunita per il culto, che rappresenta tutta la chiesa. Quello che il Concilio considera un deficit, è solo un altro modo, ugualmente cristiano, di intendere e vivere la stessa realtà. (Per il testo completo: http://www.chiesavaldesetrapani.com/public_html/it/paolo-ricca-risponde/415-le-lcomunita-ecclesialir).

RICHARD HOOKER, THE ECCLESIASTICAL POLITY, CAP. VII: http://anglicanhistory.org/hooker/7/